Siria / A colloquio con il giornalista Naman Tarcha

 

Abbiamo incontrato Naman Tarcha, giornalista siriano, in un bar del quartiere Esquilino di Roma. Si è discusso della Siria, sotto il profilo politico-sociale e culturale, in particolar modo si è cercato di dare risalto ai giovani e di delineare i nuovi spazi associativi e di impresa che li ritraggono come i protagonisti della scena siriana. Lo sconvolgimento del conflitto non ha effetti irreversibili: fermenti innumerevoli, brillanti iniziative, occasioni di rinascita sono aspetti che permettono ai giovani delle principali città della Siria di raccontarsi e di raccontare attraverso il linguaggio artistico. La produzione d’arte viene a essere un canale privilegiato attraverso cui veicolare valori e un nuovo sistema di vita che sgorga dai territori siriani liberati. 


Proviamo a spiegare la situazione attuale che sta vivendo la Siria e, quello che sta accadendo negli ultimi mesi.

Dopo otto anni di guerra, credo che le cose siano più chiare anche in Occidente. Si è trattato di una guerra “per procura”, nella quale si sono allineati gli interessi di Stati Uniti, Unione Europea e altri paesi, coinvolti nel cambio di regime, regime change, ecco perchè sia questa guerra che quella al terrorismo, sono funzionali al cambio, che in questo momento è fallito. Il tentativo è stato quello di dividere la Siria, di spaccarla dall’interno, utilizzando lo stesso strumento adoperato da Afghanistan, Iraq, Libia: il terrorismo, ossia i gruppi terroristici e la lotta al terrorismo. Qual è la situazione attuale? Circa l’85% del territorio siriano è stato liberato dai foreign fighters, i combattenti jahidisti di diverse etnie, impegnati in varie parti del mondo, conosciuti con il nome di “ribelli”; mentre l’Occidente osannava questi gruppi e questa “rivoluzione” per il cambio di regime, invece, sul campo, il popolo siriano veniva massacrato da questi gruppi terroristici mandati da tutto il mondo, che  sono entrati da Iraq, Turchia e confini aperti della Giordania. Oggi la liberazione dell’85% della Siria è avvenuta per mano dell’esercito siriano, formato dai cittadini, dai “figli della Siria”, grazie all’aiuto dei suoi alleati: la Russia, l’Iran, i libanesi di Hezbollah. 

La sconfitta, seguita alla liberazione dei territori siriani, è avvenuta contro il volere degli Stati Uniti che hanno permesso all’Isis di entrare in Siria – nonostante essi dicano che a sconfiggerlo siano stati loro, la realtà è un’altra: i siriani hanno sconfitto l’Isis.


Dopo la liberazione di una parte considerevole di territorio, quali sono i prossimi obiettivi che la Siria si è posta?

Tutti gli occhi sono puntati su Idlib, città della Siria nord-occidentale, situata vicino al confine con la Turchia, nella quale si sono spostati tutti i gruppi terroristici fuoriusciti dalla varie zone, tra questi vi è al-Nusra, il gruppo terroristico più feroce, riconosciuto anche dalle Nazioni Unite. Al-Nusra ha dichiarato Idlib sua capitale, detenendo anche il controllo della provincia, nella quale l’esercito siriano tenta di smantellare l’ultima roccaforte dei terroristi. 

In questa zona del Nord della Siria, vi sono tre villaggi cristiani, di cui uno ancora sopravvive. Oggi è sotto il controllo dei gruppi al-Nusra e al- Qaida, laddove gli stessi terroristi vi dimorano assieme alle loro famiglie. Essi sono arrivati in quei luoghi ma non resteranno in eterno, prima o poi dovranno ritornare a casa propria e l’Europa dovrà fare i conti con suoi “cittadini terroristi”. I gruppi della zona sono guidati della Turchia, che in questo momento, con l’invasione della zona del nord-est siriano, combattono a fianco all’esercito turco. 


Spostiamoci nell’area Nord-Est della Siria per capire ciò che sta accadendo.

La Turchia ha deciso di occupare questa zona con il pretesto di liberarla dalle milizie curde, si tratterebbe di uno strano gioco tra alleati, poichè sia la Turchia che le milizie curde sono alleate degli Stati Uniti, dunque, cosa succede? Vi è un accordo implicito, non dichiarato, tra Trump ed Erdogan per permettere alla Turchia di invadere quella zona per interesse/questioni interne che riguardano entrambi i Paesi. In particolare, Erdogan sta attraversando una momento in cui non sente di avere il sostegno totale da parte del stesso partito, invece, Trump, attraverso questa azione, vuole dimostrare di “avere il controllo” della situazione, di aver riportato i soldati americani a casa, di aver cessato le operazioni militari in Siria, il tutto in vista delle prossime elezioni. Vi è poi l’altro giocatore politico, la Russia, la quale è riuscita a mettere d’accordo le milizie curde con il governo siriano e quest’ultimo, in modo indiretto, con la Turchia. Per cui, l’esercito siriano, dopo questo accordo, raggiunto con i curdi della zona, ha iniziato il dispiegamento delle sue forze lungo il confine per bloccare l’avanzata dei tuchi; d’altra parte, gli Stati Uniti pur avendo riportato a casa parte dei militari, la decisone ha una dimensione controversa, poichè Trump ha deciso di lasciare alcune truppe americane in Siria per difendere i campi petroliferi (forse difendere i suoi interessi?). Cosa ha determinato questa situazione? Un sequestro delle risorse siriane da parte americana, gli stessi USA impongono embargo e sanzioni alla Siria, privandola delle risorse energetiche, dunque gli Stati Uniti “si appropriano” di tali risorse per finanziare la loro presenza nel Paese. In tale contesto, i curdi sono utilizzati come una carta da gioco, come un pretesto per legittimare l’ingresso degli Stati Uniti in Siria, che non vogliono più uscire se non in cambio di qualcosa: le risorse energetiche siriane (campi petroliferi, gas e altro) nonchè la presenza permanente nella zona. Intanto i curdi sognano di costruire il Kurdistan siriano, che non è mai esistito nella zona, che non è realizzabile, perchè la maggior parte degli abitanti di quella zona non è di etnia curda.

In che modo la Siria sta reagendo alla devastazione bellica?

Dopo quasi nove anni di guerra, l’economia è crollata. Una tale situazione non trova una via di miglioramento a causa dei governi occidentali – gli stessi che piangono per le sorti della Siria – che impongono ad essa embargo e sanzioni; nonostante questo, ciò che ha salvato la Siria è il suo popolo. La tenacia e la capacità dei siriani di capire che la guerra non potrà durare per sempre. Lo spirito dei siriani è stato determinante per una rinascita reale, soprattutto nelle grandi città, dove sono state recuperate zone importanti, siti archeologici, come quello di Palmira, o sono stati riaperti centri di cultura come il Museo Nazionale di Aleppo. La ricostruzione delle città è complicata perchè costosa. Nonostante gli impedimenti posti in essere da Stati Uniti e altri paesi dell’Europa, gli stessi cittadini non restano fermi ma sono alla ricerca di nuovi stimoli per andare avanti. 

Ad esempio, dal punto di vista sociale, sono nati tanti movimenti e gruppi che si mobilitano in senso civile. Durante la guerra, le organizzazioni internazionali erano sul confine, non operavano in Siria, pur mendicando per i siriani anche se in realtà non facevano nulla per loro, mentre le organizzazioni non governative siriane hanno svolto un lavoro enorme sia nel sostenere la famiglie, attraverso la Caritas, le parrocchie, le organizzazioni laiche, sia creando strutture specializzate nella cura e nell’assistenza di persone che avevano bisogni specifici, basti pensare all’apertura di un centro francescano di cura e recupero per bambini vittime dei trauma della guerra. È l’umanità che affiora nei momenti difficili: quando si tocca la morte si riesce a capire il valore della vita. 

Vi sono, inoltre, gruppi scout che organizzano visite presso siti di interesse storico e artistico che per otto anni di guerra non è stato possibile visitare. Così come, vi sono associazioni che organizzano uscite didattiche per le scuole allo scopo di mostrare agli studenti luoghi sconosciuti loro – dal momento che vi è un’intera generazione cresciuta con la guerra. In sintesi, forte è il fermento culturale opposto alla durezza dell’odierna situazione economica in Siria.

Soffermiamoci sui giovani e sull’aspetto legato all’impresa e alla produzione artistica, è possibile individuare ed evidenziare azioni di ripresa in campo economico, culturale e artistico, che vedono loro i principali artefici di queste azioni?

Ho sempre precisato che la Siria non fosse morta. La gente che vive ha bisogno di aiuto più che mai, mostrare immagini di siriani che “rinascono” non significa cancellare ciò che è stato o che è andato distrutto in termini di vite e di città, ma costituisce il punto di partenza su cui costruire la “rinascita”. C’è stata la settimana dell’organo a Damasco. Ci sono stati diversi concerti dell’orchestra sinfonica, diretta dal Maestro Missak Baghboudarian. Così come i concerti del Teatro dell’Opera, che non ha mai chiuso neppure in tempo di guerra. 

Allo stesso modo, una ripresa interessante investe il campo economico: molti giovani hanno iniziato a fare impresa. Per molti anni, la guerra ha costretto loro a lavorare a casa con delle limitazioni che essi hanno saputo trasformare in occasioni di crescita umana e professionale. Numerose imprese artigianali sono sorte, ad esempio, vi è quella di Antonietta Bahar, artista pittrice di Aleppo, che disegna su vetro colorato (che oggi riceve richieste da diverse parti del mondo)  nonchè responsabile dell’unica biblioteca privata della città.  

Da cosa si capisce che un popolo è vivo?

Dal fatto che scelga di fare Arte. Andare alle mostre di pittura, di scultura, significa che un popolo sceglie la vita e trova nell’arte l’espressione più pura. 

Intervista rilasciata a Cecilia D’Abrosca Redazione Immezcla

 

 

 

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